Il dibattito scientifico riguardo la correlazione tra videogiochi violenti e aggressività è ancora aperto e controverso: un’ipotesi comune è che giocare ai videogiochi violenti aumenti l’aggressività nei giovani e vari studi supportano questa ipotesi, mentre altre ricerche non trovano alcun collegamento.
La teoria più nota di tali effetti è il General Aggression Model (GAM), che sostiene che giocare a videogiochi violenti possa creare modelli cognitivi di aggressività che possono essere attivati anche nella vita di tutti i giorni, giocare ai videogiochi violenti diventa così un’opportunità per provare atti di aggressione che poi diventano più comuni nella vita reale. Il modello GAM suggerisce che la violenza simulata dei videogiochi può influire sui pensieri, i sentimenti e l’eccitazione fisica di un giocatore, condizionando l’interpretazione dei comportamenti delle persone vicine e aumentando il comportamento aggressivo. Le critiche a questo modello sostengono che esso presuppone erroneamente che l’aggressività sia principalmente appresa e che il cervello non distingua la realtà dalla finzione. Alcuni studi recenti hanno affermato esplicitamente di trovare prove contro la teoria GAM.
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- Nel 1998, Steven Kirsh studiò gli effetti dei videogiochi violenti su cinquantacinque soggetti a cui fece giocare videogiochi violenti o non violenti. I soggetti venivano successivamente invitati a leggere storie in cui il comportamento dei personaggi era ambiguo: chi aveva giocato con videogiochi violenti era più propenso a fornire interpretazioni negative delle storie.
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- Nel 2003, è stato condotto uno studio presso l’Iowa State University per valutare atteggiamenti e violenze preesistenti nei bambini. I bambini hanno giocato a un videogioco violento o non violento per circa quindici minuti. Successivamente, i loro battiti cardiaci venivano registrati e ai bambini veniva chiesto quanto fossero frustranti i giochi su una scala 1-10. Infine, ai bambini venivano mostrate delle vignette di situazioni quotidiane aggressive o in grado di suscitare empatia. Le risposte dei bambini che avevano giocato a videogiochi violenti o non violenti indicano che i bambini non hanno una minore empatia se giocano con videogiochi violenti. Viceversa, i bambini che giocano a videogiochi violenti per un lungo periodo di tempo sono stati associati a una minore empatia preesistente e a punteggi più bassi sull’empatia indotta dalle vignette. Questi dati potrebbero indicare che la desensibilizzazione nei bambini può verificarsi dopo esposizione a lungo termine, ma non tutti i bambini sono stati colpiti allo stesso modo, quindi i ricercatori hanno dedotto che alcuni bambini potrebbero essere a più alto rischio di questi effetti negativi.
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- Nel 2003, Jeanne B. Funk ha esaminato la relazione tra l’esposizione alla violenza attraverso i media e la desensibilizzazione negli alunni di quarta e quinta elementare. Funk scoprì che l’esposizione alla violenza dei videogiochi era associata minore empatia e ad un atteggiamento di pro-violenza maggiore, mentre nello stesso anno un altro studio ha rilevato che l’uso di videogiochi violenti era associato a una ridotta aggressività tra i giovani giapponesi.
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- L’American Psychological Association (APA) ha rilasciato una dichiarazione ufficiale nel 2005 (e una successiva nel 2015), affermando che l’esposizione ai media violenti aumenta i sentimenti di ostilità, i pensieri sull’aggressività, rende sospettosi rispetto al comportamento delle persone vicine, mostra la violenza come metodo per affrontare potenziali situazioni di conflitto e che la violenza sessualizzata nei media è collegata all’aumento della violenza verso le donne. Alcuni studiosi hanno suggerito che la dichiarazione di politica dell’APA ignorasse i risultati discrepanti della ricerca e travisasse la letteratura scientifica.
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- Nel 2005, uno studio ha suggerito che l’esposizione cronica a videogiochi violenti ha effetti dannosi duraturi sulla funzione e sul comportamento del cervello.
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- Mentre nel 2007 uno studio presso l’Iowa State University ha scoperto che i partecipanti che avevano precedentemente giocato a un videogioco violento mostravano una desensibilizzazione fisiologica alla violenza, con risposte corporali (ad es. frequenza cardiaca) di minore intensità alla visione di scene violente
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- Nello stesso anno uno studio presso la Swinburne University of Technology ha scoperto che i bambini hanno reazioni variabili ai giochi violenti: alcuni bambini diventano più aggressivi, alcuni diventano meno aggressivi, ma la maggioranza non mostra cambiamenti nel comportamento.
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- Nel 2008 Pew Internet e American Life Project hanno esaminato l’impatto dei videogiochi sui comportamenti sociali e comunitari dei giovani. I giovani che hanno preso parte alle interazioni sociali legate al gioco, come commentare siti web o contribuire a forum di discussione, erano più impegnati a livello comunitario e politico. Tuttavia il 63% ha riferito di essersi sentito “meschino ed eccessivamente aggressivo mentre gioca”, il 49% ha riferito di aver visto o sentito “persone essere odiose, razziste o sessiste mentre giocano” e il 78% ha riferito di essere “generoso” durante il gioco.
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- Nel 2009, una sintesi di tre studi condotti tra studenti di diverse fasce d’età a Singapore, in Giappone e negli Stati Uniti, ha rilevato che i giochi prosociali per lo più non violenti hanno aumentato il comportamento prosociale tra i partecipanti.
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- Nel 2010, Patrick e Charlotte Markey hanno suggerito che i videogiochi violenti causavano solo sentimenti aggressivi in individui che avevano una predisposizione preesistente.
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- Nel 2010, i ricercatori Paul Adachi e Teena Willoughby della Brock University hanno criticato gli studi di videogiochi sperimentali su entrambi i lati del dibattito, osservando che gli studi sperimentali spesso confondevano il contenuto violento con altre variabili come la competitività. In uno studio di follow-up, gli autori hanno riscontrato che la competitività, ma non il contenuto violento, era associata all’aggressione.
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- Nel 2011, uno studio longitudinale lungo trent’anni su 14.000 studenti universitari, pubblicato dall’università del Michigan ha misurato i livelli complessivi di empatia negli studenti, scoprendo che questi erano diminuiti del 40% dagli anni ’80. Il più grande calo è venuto dopo il 2000, che gli autori hanno ipotizzato dovuto a molteplici fattori, tra cui maggiore enfasi sociale sull’egoismo, cambiamenti nelle pratiche genitoriali, maggiore isolamento dovuto al tempo trascorso con la tecnologia dell’informazione e maggiore immersione in tutte le forme di violenza e/o mezzi narcisistici inclusi, ma non limitati a, notizie, televisione e videogiochi. Gli autori non hanno fornito dati sugli effetti dei media, ma hanno fatto riferimento a varie ricerche sugli argomenti.
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- Nel 2011, in uno studio longitudinale sulla gioventù in Germania, von Salisch ha scoperto che i bambini aggressivi tendono a selezionare videogiochi più violenti. Questo studio non ha trovato prove del fatto che i giochi violenti abbiano causato aggressività nei minori.
- Uno studio del 2014 di Andrew Przybylski presso l’Università di Oxford ha esaminato l’impatto del contenuto violento e della frustrazione sull’ostilità tra i giocatori di videogiochi. In una serie di esperimenti, Przybylski e colleghi hanno dimostrato che la frustrazione, ma non il contenuto violento, aumentava l’ostilità del giocatore. Gli autori hanno anche dimostrato che alcuni precedenti esperimenti di videogiochi violenti “classici” erano difficili da replicare. Sempre nel 2014, uno studio suggeriva che i videogiochi violenti erano associati a variazioni molto piccole nel comportamento a rischio nel tempo.
Il dibattito è ancora aperto e nuovi studi a sostegno di una e dell’altra ipotesi vengono pubblicati ogni anno, si spera che presto il moondo accademico possa pronunciarsi in modo unanime sulla questione e arrivare a conclusioni certe.